Introduzione

Farina

Con il termine farina si intende il prodotto che si ottiene dalla macinazione dei frutti secchi o dei semi di varie piante. In commercio è possibile trovare diverse farine provenienti da cereali, frutta e legumi: mais, orzo, farro, riso, avena, segale, castagne, ceci, mandorle, grano saraceno. Comunemente, però, si indica col nome di farina, senza specificarne l'origine, quella ottenuta dal grano tenero (Triticum aestivum) usata molto in cucina per la panificazione e la pasticceria. La farina di grano duro, invece, principalmente usata per la produzione di pasta alimentare, prende il nome di semola.

Farina di grano tenero

Fatte le dovute eccezioni la farina di grano tenero è la più adatta per la panificazione, dalla pasticceria alla pizza e al pane.

Secondo il DPR 187/2001 si definisce farina di grano tenero, “il prodotto ottenuto dalla macinazione e conseguente abburattamento (raffinazione) del grano tenero liberato dalle sostanze estranee e dalle impurità”.

Il chicco del grano si chiama cariosside e in esso si possono distinguere tre parti: la parte esterna (crusca) e la parte interna (germe), ricche fonti di fibre, vitamine e minerali, e la parte centrale (endosperma) fonte di amido e proteine.

Le caratteristiche di cui tenere conto per scegliere una farina di grano tenero sono sostanzialmente due, la raffinazione (definita in termine tecnico abburattamento) e la forza. Per quanto riguarda l’abburattamento, si parla di tasso di abburattamento della farina, facendo riferimento alla quantità di prodotto in chili (kg) ottenuto macinando 100 kg di grano. Tanto più alto è questo indice, tanto più grezza è la farina. Al contrario, una farina molto raffinata ha un tasso di abburattamento basso.

I tipi di farina disponibili in commercio vanno da:

  • 00, la più raffinata e definita anche fior di farina, che contiene solo la parte centrale del chicco privato della parte esterna
  • 0, 1 fino a 2, con percentuali progressivamente maggiori di crusca
  • farina integrale, che si ottiene macinando integralmente il chicco, salvo separare una piccola quota di parti derivate dalla crusca. La legge, infatti, prevede un livello massimo di ceneri, vale a dire delle componenti (sali minerali) che rimangono integre se sottoposte a un ‘trattamento di carbonizzazione’ della farina della durata di almeno sei ore a temperatura di +500/600°C (tabella 1). Più è basso il contenuto di ceneri, più la farina è stata prodotta con il solo endosperma e più è bianca. La farina “integrale” avrà invece il massimo contenuto di ceneri perché tutto il chicco è stato utilizzato e sarà, quindi, più scura

Tabella 1: Classificazione della farina (Tabella contenuta nel D.P.R. 9 febbraio 2001, n. 187. Valori calcolati su 100 parti di sostanza secca)

Tipo di farina di grano tenero Umidità max Ceneri min. Ceneri max Proteine min. Abburattamento
Tipo 00 14,50% - 0,55% 9,00% 50%
Tipo 0 14,50% - 0,65% 11,00% 72%
Tipo 1 14,50% - 0,80% 12,00% 80%
Tipo 2 14,50% - 0,95% 12,00% 85%
Integrale 14,50% 1,30% 1,70% 12,00% 100%

Nota: l'umidità massima consentita all'atto dell'immissione in commercio è pari al 14,5% per tutti i tipi di sfarinati; si è infatti visto che quando l'umidità supera il 16% la farina non si conserva; inoltre, dal momento che una sostanza umida pesa di più, valori superiori sconfinano nella frode alimentare.

L’altro parametro è il grado di forza della farina, strettamente legato alla quantità di glutine, un complesso proteico che si sviluppa quando le due proteine, gliadina e glutenina, vengono a contatto con l’acqua. Nella fase dell’impasto, il glutine forma una sorta di reticolo (maglia glutinica) il cui compito è mantenere all’interno della massa gli amidi e i gas: da qui le bolle di lievitazione e la struttura spugnosa di un pane ben lievitato. La forza della farina sta, quindi, ad indicare la capacità di assorbire i liquidi durante l’impasto e di trattenere l’anidride carbonica durante la lievitazione. Una maglia glutinica tenace assicura agli impasti una maggiore resistenza alla lavorazione e alla lievitazione; al contrario, una struttura glutinica meno serrata permette all’amido di liberarsi più facilmente.

La forza della farina (indicata nelle etichette dei pacchi di farina a uso professionale con la lettera W) è la quantità di glutine che essa riesce a sviluppare e la sua conseguente capacità di assorbire acqua. Il suo valore è correlato alla ricchezza proteica del grano: maggiori sono le proteine nel chicco, più glutine sarà sviluppato nell’impasto. Quindi, semplificando, si potrebbe dire che più proteine ci sono nella farina, maggiore sarà la sua forza (W) (anche se non tutte le proteine producono glutine). Farine di forza diversa sono quindi adatte a differenti tipi di lavorazione (tabella 2).

Verificare la qualità della farina e le sue proprietà nella fase di impasto, lievitazione e cottura non è una cosa semplice. A questo scopo nei molini vengono effettuate diverse misure chimiche e fisiche per classificare al meglio le farine prodotte, valutando una serie di parametri come:

  • W, definita come forza della farina
  • P, che rappresenta la tenacità del glutine, ossia la forza che si oppone alla lavorazione dell’impasto (più precisamente la sua capacità a resistere allo stimolo dato da una macchina che, iniettando aria nell’impasto, simula una lievitazione. Il valore misura la capacità che ha il glutine di non fare deformare l’impasto durante questa prova)
  • L, che rappresenta l’estensibilità, ossia la capacità dell’impasto di ritornare alla forma iniziale se sottoposto ad allungamento (in modo più preciso, la capacità di espandersi senza rompersi durante la prova)

Tabella 2: Forza delle farine e diversi tipi di utilizzi

W Proteine P/L Utilizzo
90/130 9/10,5 0,4/0,5 Biscotti ad impasto diretto
130/200 10/11 0,4/0,5 Grissini, Crackers
170/200 10,5/11,5 0,45 Pane comune, Ciabatte, impasto diretto, pancarré, pizze, focacce, fette biscottate
220/240 12/12,5 0,45/0,5 Baguette, pane comune con impasto diretto, maggiolini, ciabatte a impasto diretto e biga di 5/6 ore
300/310 13 0,55 Pane lavorato, pasticceria lievitata con biga di 15 ore e impasto diretto
340/400 13,5/15 0,55/0,6 Pane soffiato, pandoro, panettone, lievitati a lunga fermentazione, pasticceria lievitata con biga oltre le 15 ore, pane per Hamburger

* P/L vengono solitamente valutati come un unico rapporto: P/L (P diviso L, quindi la tenacità diviso l’estensibilità) e hanno come valore di riferimento 0.5. Un valore di P/L troppo alto indica una farina troppo resistente e poco estendibile, di difficile lavorazione. Al contrario, un P/L troppo basso indica una farina poco resistente e troppo estendibile. Una farina per biscotti avrà un valore di W e di P/L bassi (ad esempio W=100 e P/L = 0.4) mentre una farina per prodotti lievitati avrà W e P/L alti (ad esempio W=350 e P/L=0.6).

Nota: per impasto diretto si intende una preparazione in cui tutti gli ingredienti vengono lavorati in una sola fase rispettando il corretto ordine di inserimento. Per impasto indiretto, invece, si intende una preparazione in più fasi con un pre-impasto contenente parte degli ingredienti base (farina, acqua e lievito) lasciato riposare, al quale vengono aggiunti in un secondo momento gli ingredienti rimasti.

Per la pizza, ad esempio, la differenziazione della farina è finalizzata ad ottenere una pizza con caratteristiche organolettiche e gustative specifiche: la classica pizza napoletana deve avere un impasto estensibile e, a fine cottura, risultare più o meno sottile e non troppo alveolata, per questo si utilizzano farine di media forza. Inoltre, dovrebbe mantenere le proprie caratteristiche solo per alcuni minuti dopo il servizio e cuocere a temperatura leggermente più elevata. Al contrario, la pizza al taglio richiede una maggior elasticità e tendenza a trattenere l'acqua; a fine cottura risulta molto più spessa e dovrebbe conservare le proprie caratteristiche per tutto il tempo in cui rimane sull'espositore termico. Le farine utilizzate per quest’ultimo tipo di impasto devono essere di primissima qualità, e necessariamente molto forti, cioè in grado di generare una forte maglia glutinica capace di sostenere le lunghe maturazioni in celle frigorifere, tipiche di questo semi-lavorato.

Esistono anche farine con valori di W superiori a 400, denominate Manitoba perché originarie di quella regione del Canada. Vengono denominate Manitoba anche se il grano corrispondente è ormai coltivato anche in Europa. Hanno un alto contenuto proteico e vengono spesso utilizzate in miscela con farine più deboli per aumentarne la forza.

Semola

La semola è uno sfarinato che si ottiene dalla macinazione del grano duro (specie botanica Triticum durum). Seppur molto simili, il frumento duro e quello tenero (T. aestivum) non hanno le stesse caratteristiche botaniche e non producono semi con identiche proprietà nutrizionali.

La farina di grano duro (o semola) è perfetta per la produzione della pasta secca, mentre è impiegata in percentuali minori negli impasti da pane, sempre mescolata con quella di grano tenero.

La semola si può classificare in base alla granulometria: semola grossa (600-800 micron), semola media (400-600 micron), semolino (0-300 micron).

Macinando ulteriormente la semola si ottiene la "semola rimacinata", dotata di una granulometria più fine rispetto alla semola e più simile a quella della farina.

Il semolato si differenzia dalla semola per la dimensione dei granuli, è leggermente meno setacciato, quindi appena più grezzo e corrisponde alla definizione di una semola semi-integrale, quindi con maggior presenza di fibra rispetto alla semola raffinata. Esistono anche dei semolati integrali ai quali, anche in questo caso, viene mantenuta la porzione di crusca (tabella 3).

Tabella 3: Classificazione della semola (Tabella contenuta nel D.P.R. 9 febbraio 2001, n. 187. Valori calcolati su 100 parti di sostanza secca)

Denominazione del prodotto Umidità max Ceneri min. Ceneri max Proteine min.
Semola* 14,50% - 0,90% 10,50%
Semolato 14,50% 0,90% 1,35% 11,50%
Semola integrale di grano duro 14,50% 1,40% 1,80% 11,50%
Farina di grano duro 14,50% 1,36% 1,70% 11,50%

Nota: Umidità consentita fino al 15,50% se indicato in etichetta

La semola è un alimento ricco di amido; contiene anche una buona percentuale di proteine, tra le quali è presente anche il glutine. È stato dimostrato che le porzioni di proteine (peptidi) specifiche della lievitazione sono più abbondanti nella farina di grano tenero rispetto alla farina di grano duro, per questo motivo la semola è considerata più adatta alla produzione di pasta alimentare. Tuttavia, proprio per la sua composizione proteica, oggi la semola trova largo impiego anche nella panificazione e nel confezionamento di prodotti da forno. Anche in questo caso, per la presenza di gliadine e glutenine (proteine che formano il glutine), si può parlare dei parametri P/L e W.

Altre farine

La farina alimentare può essere prodotta a partire da cereali diversi dal frumento dai quali prende le caratteristiche nutrizionali:

  • farina di farro
  • farina di mais
  • farina di segale
  • farina di riso
  • farina di miglio
  • farina di avena
  • farina di orzo
  • farina di teff, cereale senza glutine originario del continente africano, più precisamente dell'Etiopia e dell'Eritrea
  • farina di Khorasan (e Farina di Kamut), un tipo di frumento descritto per la prima volta in Iran, dove ancora oggi si coltiva. Oggi tutti possono coltivare il grano Khorasan, ma solo l'azienda proprietaria del marchio può vendere questo grano con il nome di Kamut (leggi la Bufala)
  • farina di grano saraceno, amaranto o quinoa, sono i cosiddetti pseudocereali, vale a dire piante che non appartengono alla stessa famiglia dei cereali (Graminacee)

La farina può anche essere prodotta dalla macinazione dei legumi:

  • farina di ceci
  • farina di piselli
  • farina di fave
  • farina di soia
  • farina di fagioli
  • farina di lenticchie

Dalla macinazione di tuberi e radici si possono ottenere le fecole, amido del prodotto estratto ed essiccato ridotto ad una polvere finissima, simile alla farina. Le fecole vengono solitamente utilizzate come addensanti:

  • farina di patate o fecola di patate, ottenuta riducendo le patate a una poltiglia ed eliminando le fibre con lavaggio in acqua
  • maizena o amido di mais, ricavata dal mais. La differenza tra amido e farina di mais sta nella composizione del prodotto. La farina si ricava attraverso la macinatura della totalità del chicco (endosperma + germe + crusca) mentre l'amido è contenuto nel solo endosperma
  • farina di manioca (o farina di tapioca), ottenuta dalla radice di manioca (o tapioca), una pianta della famiglia delle Euphorbiaceae originaria del Sudamerica

Inoltre, le farine possono derivare dalla frutta come nel caso delle:

  • farina di castagne
  • farina di mandorle
  • farina di nocciole
  • farina di pistacchi
  • farina di noci
  • farina di frutta essiccata (cocco, banane ecc..)
  • farina di semi (semi di girasole, semi di chia, semi di lino..)

Farine senza glutine

Dai cereali che non contengono glutine si possono ottenere farine particolarmente indicate per le persone che soffrono di celiachia o di sensibilità al glutine (Gluten Sensitivity), come ad esempio:

  • farina di amaranto
  • farina di grano saraceno
  • farina di mais
  • farina di miglio
  • farina di quinoa
  • farina di riso
  • farina di sorgo
  • farina di teff
  • farine di legumi
  • farine di frutta, frutta essiccata, semi

Va sottolineato che quando si parla di semole o farine, se pur derivanti da cereali naturalmente senza glutine, va verificata la dicitura “senza glutine” in etichetta. Questi alimenti, infatti, vengono prodotti attraverso un processo di lavorazione durante il quale si può determinare una contaminazione con altre lavorazioni di alimenti contenenti glutine, soprattutto se non si usano linee di produzione dedicate. La completa garanzia dell’assenza di glutine viene certificata dal marchio Spiga Barrata posto sui prodotti dedicati alle persone celiache.

Al contrario, le persone che soffrono di celiachia devono assolutamente evitare:

  • farina di farro
  • farina di frumento
  • semola di grano duro
  • farina di segale
  • farina d’orzo
  • farina di avena

Negli impasti senza glutine, di solito, è richiesto l’utilizzo di amidi e fecole come addensanti o per contribuire a legare meglio le farine che non possono formare la maglia glutinica.

Farine biologiche

Una farina definita biologica nasce dalla macinazione (molitura) di grani coltivati con metodi di agricoltura biologica; in seguito viene certificata per essere venduta come tale.

In particolare, il grano biologico, per essere considerato tale, deve riportare le certificazioni di appositi enti di controllo che verificano i requisiti dell’azienda agricola produttrice. In Europa, come oramai in molti altri Paesi del mondo quali USA, Canada, Giappone, l’agricoltura biologica è regolata da una normativa specifica. Il metodo dell'agricoltura biologica mira a ottenere i prodotti basandosi sull'utilizzo di fitofarmaci (fungicidi, insetticidi, erbicidi) presenti in natura, escludendo l'impiego di prodotti di sintesi (leggi la Bufala).

La resa delle coltivazioni biologiche di grano è generalmente minore rispetto a quelle che utilizzano metodi convenzionali, motivo per cui il prezzo dei prodotti derivati da grano biologico è spesso maggiore.

Dal punto di vista nutrizionale, a oggi, la ricerca scientifica non ha riscontrato differenze significative di composizione tra prodotti biologici e convenzionali, né sulla sicurezza del loro consumo. Quindi, più che sulla qualità del prodotto, la riflessione viene spesso posta sulla stabilità nelle fasi di lavorazione e sulla possibilità delle varietà biologiche, numericamente minori rispetto alle convenzionali, di garantire sempre lo stesso tipo di raccolto, sia in quantità sia in qualità.

D’altro canto, le variabili che influiscono sulla qualità del prodotto finale sono tante e comprendono sia fattori legati al materiale di partenza, come le caratteristiche genetiche della specie di cereale o legume; sia fattori esterni, come le condizioni ambientali (temperatura, irradiazione solare, durata dell’illuminazione). Il tipo di coltivazione è solo una di queste variabili e la lavorazione gioca un ruolo fondamentale. Per questo motivo, quando si acquistano farine è buona norma cercare di reperire quante più informazioni possibile sul prodotto: le sue caratteristiche nutrizionali, la provenienza del cereale e il luogo di lavorazione. Il vero ago della bilancia è spesso rappresentato dalla serietà dei mulini che le producono.

Se si acquistano farine di produzione artigianale (senza la certificazione biologica), o si autoproducono, è importante che siano assicurate le necessarie condizioni igieniche legate sia pulitura del grano, sia alla pulizia dell’ambiente in cui è eseguita la macinazione.

Oggi si parla molto di varietà antiche in uso fino a 50 anni fa. Si tratta di varietà che hanno un’utilità, soprattutto ambientale o economica, per la rivalutazione della biodiversità ma non hanno particolari caratteristiche genetiche per quanto riguarda la salute (leggi la Bufala).

Farine proteiche

La categoria “farine proteiche” comprende una vasta gamma di farine a basso contenuto di carboidrati e ad alto contenuto di proteine. Le più comuni sono le farine di legumi.

Da un punto di vista tecnologico, queste farine sono ottime e non hanno particolari controindicazioni, anzi viene spesso consigliata la loro introduzione nell'alimentazione quotidiana per aumentare la varietà delle scelte alimentari. Per la loro composizione nutrizionale non sempre riescono a sostituire la normale farina di frumento, perché la lavorazione dell’impasto risulta spesso difficile, ma sono perfette per molte ricette.

Oggi, vengono utilizzate anche per la preparazione di impasti pronti (per pane, pizza o prodotti da forno), ad alto contenuto proteico, principalmente utilizzati tra gli sportivi e tra chi preferisce seguire una dieta iperproteica. In questi casi, oltre alle farine, possono essere aggiunte delle proteine in polvere per aumentare la quantità proteica del prodotto.

La caratteristica di questo tipo di alimentazione è la riduzione, anche molto marcata, dell’assunzione dei carboidrati da tutte le fonti, che diventa molto al di sotto del livello minimo di riferimento (45% delle calorie complessive) fissato dai Livelli di assunzione di riferimento di nutrienti (LARN) definiti dalla Società Italiana di Nutrizione Umana. Ciò spinge la persona che segue questo regime ad una ricerca, spesso eccessiva, di alimenti con un contenuto di proteine aumentato rispetto al normale, come nel caso degli impasti utilizzati per la preparazione di alimenti dolci e salati.

È bene, però, ricordare che solo in casi particolari (come gli sportivi professionisti) è richiesta un’integrazione di proteine. In tutti gli altri casi, la normale dieta quotidiana costituita da prodotti tradizionali riesce tranquillamente a soddisfare il fabbisogno proteico giornaliero, che è pari al 12-15% delle calorie totali della giornata.

I cereali non sono solo fonti di carboidrati ma hanno già una buona percentuale di proteine al loro interno. Tale quantità, abbinata alle proteine derivanti dalle fonti proteiche dei pasti principali (carne, pesce, uova, formaggi, legumi) e da altre fonti come i latticini, è il più delle volte sufficiente. Al contrario, un consumo eccessivo di proteine può diventare dannoso per l’organismo. Gli impasti proteici devono, quindi, essere sempre inseriti all’interno di un piano alimentare equilibrato e bilanciato per evitare gli effetti negativi.

In ogni caso, il loro consumo oggi è legato più a scelte personali che ad evidenze scientifiche che ne dimostrino la reale necessità. È stato notato che molto spesso è l’impatto dei media e della pubblicità commerciale di un prodotto a farlo percepire come necessario, anche quando non lo è affatto.

Prossimo aggiornamento: 13 Luglio 2022

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